Dal momento in cui si sono scoperte le tecniche di memoria, dai testi antichi come il “De Memoria” di Cicerone, “Mnemotecniche” di Giordano Bruno o dagli studi condotti da Leibniz, ci si è chiesti come funzionassero queste tecniche e perché erano così efficaci.
La curiosità era di capire se avere una straordinaria memoria dipendeva solo da straordinarie capacità mentali innate oppure se ci fosse qualcosa che la scienza potesse svelare riguardo al funzionamento della memoria umana.
Premettendo che sui meccanismi del nostro cervello e di come funziona la memoria ci sono ancora cose che dobbiamo capire bene, possiamo però ritenere attraverso alcune scoperte scientifiche, che le tecniche di memorizzazione hanno una base di funzionamento ben dimostrata e solida, il che vuol dire che
Le tecniche di memoria non solo funzionano all’atto pratico ma anche dal punto di vista neurologico.
Questo ci teniamo a specificarlo perché a volte c’è diffidenza verso ciò che è nuovo e innovativo.
Le tecniche di memoria vengono spesso proposte solo come uno strumento per facilitare e velocizzare lo studio, ci sembra che sia difficile tutto questo perché
Molto pensano
- che per ottenere dei risultati nell’apprendimento l’unico modo sia faticare ore e ore sui libri e ripetere in modo noioso le cose da ricordare fino allo sfinimento
- che sia una grande rottura di scatole e che non esiste altro metodo all’infuori di questo perché come dicevano i nostri antenati romani “repetita iuvant”.
Ecco in realtà “repetita iuvant” non è del tutto sbagliato, bisogna capire però cosa s’intende e cosa è necessario ripetere perché giovi davvero!
Infatti questo detto si riferisce ad un atteggiamento specifico che ha delle basi scientifiche ben radicate che non è leggere ad alta voce e ripetere. Ripetere, per curare l’aspetto espositivo è utile, ma la ripetizione non utilizza i principi che la memoria utilizza per ricordare.
Gli studi scientifici che iniziano a dare valenza alle tecniche di memoria partono da Wilder Penfield negli anni ‘50, famoso neurologo canadese che fu il primo a scoprire, tramite stimolazione elettrica di una parte della neocorteccia di un suo paziente, che fosse possibile andare a ripescare un ricordo in modo molto dettagliato accaduto svariati anni prima. Questo iniziò a dimostrare una cosa: ogni esperienza che noi abbiamo viene immagazzinata come ricordo e che nella nostra mente sussiste quasi in modo indelebile, come se la nostra memoria fosse perfetta.
Il problema che allora ci presentò Penfield non riguarda il fatto che alcune cose le dimentichiamo per sempre o che alcuni di noi non abbiano memoria ma che non sappiamo come andare a depositare le informazioni in modo tale che, a comando, sia possibile recuperarle!
La cosa straordinaria era che inconsciamente Cicerone, Quintiliano, Giordano Bruno, Pico della Mirandola, Leibniz avevano capito come dare ordine all’esperienza, cioè ai ricordi, al fine di poterli recuperare più velocemente e con estrema facilità.
Ma la scoperta che va a dare una sferzata notevole a questo discorso fu quando Kandel nel 1991 si rese conto che la stimolazione dei neuroni tramite le nostre esperienza, portasse al rilascio di neurotrasmettitori Glutammato, i quali a loro volta sono responsabili dell’eccitazione dei recettori NMDA che portano di conseguenza all’attivazione di processi intracellulari che mettono in funzione le proteine-Chinasi le quali favoriscono la genesi di nuove sinapsi, quindi esperienze più forti.
Tutto questo come si collega ai principi della nostra memoria che si basa su fantasia, creatività, emozioni?
Il collegamento con le emozioni sta nel fatto che l’area del nostro cervello che viene stimolata dalle emozioni più forti è la stessa area del cervello, cioè l’ippocampo che è adibita al ricordo delle esperienze. Eccola una prima basilare ma potente spiegazione:
le nostre emozioni stimolano la stessa area del cervello dedicata al ricordo delle esperienze
quindi un’emozione crea una nuova esperienza e questa nuova esperienza genera nuove sinapsi, ed in realtà anche RNAmessaggero responsabile della sintesi proteica e di variazioni indelebili del nostro DNA.
Ma il fatto che le emozioni creassero delle tracce indelebili all’interno del nostro cervello lo sapevamo già, bisognava solo capire come fossero collegate con la creazioni di nuove esperienze e quindi di nuovi ricordi.
Ancora di più Maxwell Maltz ci diede la possibilità di avvalorare questa ipotesi quando, come scrive nel suo libro “Psicocibernetica”, scoprì che il nostro cervello non distingue qualcosa di realmente vissuto da qualcosa di vividamente immaginato, quindi i nostri ricordi non sono altro che esperienze sintetiche immagazzinate nel nostro cervello e in base a quanto hanno creato un emozione forte e a cosa le abbiamo associate sono estremamente facili da recuperare.
Quindi possiamo indurre il nostro cervello a creare nuovi ricordi attraverso la creazione di nuove esperienze, del tutto fantasiose e creative, le quali stimolando le nostre emozioni e associandole a qualcosa di chiaro ed inconfondibile possono essere recuperate a comando, in poco tempo e in modo estremamente dettagliato.
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Buona settimana dallo staff iMeMo University.
Questo l’articolo con la pubblicazione scientifica a riguardo.
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